Fino al 21 febbraio 2020 abbiamo sofferto della sindrome che qualcuno ha definito ‘attenzione parziale continua’: c’era sempre uno schermo da guardare, un’informazione da acquisire, che appariva più importante della realtà in cui eravamo immersi in quel momento, e che inesorabilmente nei giorni successivi veniva cancellata da altro. Poi tutto è cambiato.
La realtà ha riconquistato il suo ruolo naturale: il contesto in cui vivere e sopravvivere. La condizione precedente presidiava il mercato dell’attenzione attraverso la forzatura del ‘finto scandalo quotidiano’: immigrazione, terrorismo, cronaca nera, scontri politici o rivalità calcistiche. Argomenti da bar, creati ad arte per far discutere sui social e nei dibattiti televisivi.
Il 21 febbraio sono cambiate le regole del gioco. In campo è rimasto un unico argomento, per intere settimane, in tutto il mondo: un evento inaudito per il mondo della comunicazione e della politica che non ha più potuto definire l’agenda, selezionando temi e argomenti più o meno rilevanti, o scegliendo a proprio piacimento le priorità nel flusso comunicativo.
Il Covid-19 ha rappresentato uno ‘scandalo permanente’. Si è dovuto ridefinire il mestiere dell’opinion leader: giornalisti e politici, chef e artisti, influencer e calciatori hanno dovuto lasciare il posto a medici e virologi, infermieri e scienziati, gli unici a poter garantire l’aura della credibilità, contraddicendo politici spaventati e confusi, non più in grado di affrontare la grande sfida dell’‘ultra’: cioè di andare oltre ciò che viene normalmente accettato come tecnica di comunicazione, attraverso cui ci si limita a creare opinioni preconfezionate, da ribadire in ogni occasione, aldilà del contesto specifico.
La definizione ‘ultra’ nel Nuovo Treccani recita infatti «oltre, al di là, superiore al normale»: il Covid-19 lo è stato e lo sarà per un tempo infinito, se valutiamo l’unità di misura accelerata della comunicazione mediatica. Il media non ha più costituito il messaggio ma il virus stesso è diventato sia media che messaggio. Anzi più precisamente i media siamo diventati potenzialmente tutti noi (con il nostro corpo ipoteticamente contagiato) veicolando il virus-messaggio.
E allora si sono rafforzate le 6 R che già negli Anni ’10 di questo millennio si erano affacciate timidamente nel mondo della comunicazione: Rilevanza, Risonanza, Rispetto, Responsabilità, Reciprocità e Riconoscimento, e cioè le nuove regole cui le Brand dovranno gioco-forza adeguarsi.
Il cambiamento in atto viene confermato dai risultati di tutte le ricerche sul tema, condotte al tempo del contagio: i brand (e le aziende) conserveranno la loro credibilità solo se si dimostreranno in grado di essere civil servant, sostenendo, rassicurando, servendo i propri clienti e la propria comunità, con una capacità di rispecchiamento permanente, con interlocutori che diventano partner quotidiani e che bisogna conoscere e ri-conoscere, sulla base di una visione comune, di un messaggio memorabile, di un corretto tono di voce e di una capacità di ascolto superiore al normale.
In queste settimane lo hanno fatto ad esempio Esselunga raccontando il proprio impegno e Rummo ricordando e ringraziando la generazione dei nonni. In Graphicnart siamo stati tra i primi a sostenere che nulla sarà più come prima, perché questi sono tempi che non dimenticheremo.
Comments are closed.