“Mentre tutti cercavano di capire cosa fossero gli NFT, tu ascoltavi questo brano in loop”: così recita una delle frasi apparse sulle varie schermate di Spotify Wrapped di quest’anno; ma alla fine, questi NFT, c’è qualcuno che li abbia capiti?
NFT è un acronimo che sta per “Non Fungible Token”, quindi “gettone digitale non fungibile”, o replicabile che dir si voglia. Quando parliamo di token fungibili stiamo parlando ad esempio dei bitcoin, in quanto ogni singolo bitcoin può essere sostituito da un altro, che ne ha il medesimo valore. Gli NFT invece, proprio in virtù della loro unicità, costituiscono una sorta di “certificazione”, che applicata ad un qualsiasi oggetto digitale (ad esempio un video, un file jpeg, finanche un tweet) ne garantisce l’autenticità, quasi come fosse la firma dell’autore su un dipinto. Per estensione, con questo termine si è arrivati poi a designare gli stessi oggetti digitali che ne sono provvisti.
L’intero sistema degli NFT, così come quello delle criptovalute, si basa necessariamente su una blockchain. La blockchain, volendo semplificare al massimo, è un registro digitale che tiene traccia di ogni movimento e transazione di dati. Ciò che caratterizza la blockchain è il suo essere completamente aperta e visibile a tutti; in questo modo l’intera comunità che ne usufruisce svolge una funzione di controllo sulla veridicità di quanto riportato.
Esistono diverse piattaforme che consentono la compravendita di NFT, una delle più famose al momento è OpenSea, che si basa su una blockchain e su una valuta chiamate “Ethereum”. Su OpenSea è possibile trovare NFT di tutti i tipi, ma esistono anche piattaforme maggiormente settorializzate, dedicate cioè ad un tipo specifico di contenuti; ne è un esempio “NBA Top Shot”, che permette di comprare video delle azioni più spettacolari di tutti i giocatori della NBA.
Quanto appena riportato non è che un cappello molto introduttivo all’immenso mondo di quella che è ormai definita “Crypto Art”, senza alcuna pretesa di esaustività; ci è però utile per poterci concentrare sull’aspetto non tanto tecnologico, quanto comunicativo di questo fenomeno sociale.
Cerchiamo innanzitutto di comprendere perchè una persona dovrebbe spendere dei soldi per qualcosa che è reperibile da tutti su internet, la maggior parte delle volte anche per qualcosa la cui fattura non è per niente elevata (spopolano nel mondo degli NFT delle immagini di omini punk a 8 bit, conosciuti come Crypto Punks). La risposta a questo amletico dubbio è sicuramente da ricercare nel concetto di “esclusività”, che muove il mercato dell’arte e del collezionismo da secoli. Molto spesso l’acquisto di token non fungibili si accompagna alla possibilità di unirsi a gruppi e chat esclusivi su Discord, altrimenti inaccessibili, in cui poter comunicare con un gruppo di sconosciuti che condivide le stesse passioni e gli stessi valori. Ma, così come per il mondo degli e-sport di cui vi abbiamo parlato in un altro articolo (mettere link articolo e-sports), il confine tra virtuale e reale è qualcosa di moltolabile anchequandosiparladiNFT;così,alcuniproduttoridicryptoartassocianoalle proprie opere inviti a party ed eventi esclusivi che si tengono nel mondo fisico.
Il più grande esempio di questa contaminazione tra NFT, arte virtuale e mondo reale, l’abbiamo avuto a Times Square nei giorni scorsi; la piazza principale di New York è infatti divenuta la prima galleria a cielo aperto di opere di crypto art. I celebri schermi che dominano la piazza, solitamente veicoli di messaggi pubblicitari di grandi marchi, si sono popolati di gattini, scimmie e altri NFT, tutti accompagnati da un QR code da poter scannerizzare per poter arrivare alla pagina di acquisto.
I brand non rimangono estranei al potenziale rappresentato da questo fenomeno di cui tutti parlano, e già ci sono esempi di marchi illustri che stanno entrando nel mondo dei token non fungibili. Quest’estate il duo di stilisti dell’alta moda Stefano Dolce e Domenico Gabbana, in occasione dell’Alta Moda Dolce & Gabbana, hanno presentato la collezione Genesi, una selezione di nove elementi NFT; questa scelta porterà sicuramente una pubblicità enorme a D&G, soprattutto presso un target potenzialmente nuovo e fatto di soggetti alto-spendenti.
Un altro esempio illustre, che ci dimostra anche quanto gli NFT possano aprire a nuovi mercati, ce lo ha dato Burberry, che ha esaurito in pochi giorni oltre 1.000 sciarpe in edizione speciale in cui era incluso anche un NFT. Il prezzo medio era di circa 453 dollari a sciarpa, ma la cosa più interessante è che, guardando ai commenti e alle recensioni, risulta che oltre il 90% degli acquirenti era interessato non tanto al capo, quanto all’NFT associato.
Trattandosi di un fenomeno puramente digitale, le nuove generazioni si posizionano sicuramente al primo primo posto per interesse nel fenomeno. Per i brand vicini alla GenZ, decidere di innovare le proprie strategie di marketing e comunicazione seguendo questa traiettoria farebbe davvero la differenza agli occhi dei più giovani e nativi digitali. E lo stesso vale per quei brand che vorrebbero operare un riposizionamento sul mercato dedicandosi proprio ai più giovani, ma che fino ad ora non hanno ancora trovato una strategia vincente per riuscirci.
Una buona strategia di marketing che punti sugli NFT non ha però come risultato solo la conquista di nuove fette di mercato, ma interviene anche sulla fanbase già esistente del brand, e lo fa su più livelli. Innanzitutto l’esclusività associata al possesso di un NFT può spingere le persone a spendere di più di quanto non avrebbero speso per un prodotto unicamente fisico, e il caso Burberry ne è una dimostrazione. Ma i token non fungibili non devono essere per forza un sinonimo di lusso, e l’esclusività loro associata può essere anche “a buon mercato”; basti guardare all’esempio offertoci da Prigles: la nota marca di patatine ha messo a disposizione sulla piattaforma “Rarible” un gusto esclusivo in edizione limitata, denominato “CryptoCrisp”, al prezzo di circa 2 dollari. Le 50 persone che sono riuscite a comprare quest’opera, i cui proventi sono andati interamente all’artista che l’ha realizzata e non all’azienda, si sentiranno comunque possessori di qualcosa di unico e speciale, anche non avendolo pagato miliardi, e questo rafforzerà la loro fidelity al brand. È proprio questo forse l’aspetto più importante legato al marketing degli NFT, questo tipo di contenuti rafforza il senso di community di chi li possiede; in questo modo un brand può puntare a divenire il centro di una comunità di “eletti”, che avranno nei confronti del marchio un rapporto di fiducia e un senso di appartenenza di gran lunga maggiori.
È quindi ben evidente come questo nuovo mondo che si va delineando nel digitale non sia una nicchia dedicata a dei “crypto-nerd”, ma che rappresenti un terreno fertile, sicuramente da esplorare ancora a fondo, in cui poter investire anche e soprattutto dal punto di vista della comunicazione e del marketing. Questo vale ancora di più se si tiene in conto che Instagram starebbe lavorando ad un modo per implementare lo scambio di NFT al’interno della piattaforma, il che amplierà esponenzialmente il pubblico di appassionati di crypto-art.
Quello che è certo è che stiamo ormai per entrare nell’epoca dei metaversi, e un brand che voglia stare al passo con le esigenze culturali e di mercato, non può esimersi dallo spingere il proprio sguardo oltre i confini fisici, abbracciando la creazione di contenuti digitali che si integrino con quelli materiali sempre prodotti.
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